Gli 8 limbi del Patanjeli

Circa 2500 anni fa Patanjeli compilò un libro che si chiama “gli 8 sutra del Patanjeli”. E’ un libro che racconta degli 8 rami dello yoga e, seppur antico, è tutt’ora molto diffuso e valido. Lo scopo di queste pratiche è purificare il corpo fisico ed il corpo energetico, acquisire la padronanza dei nostri sensi e liberarsi dalle illusioni mondane. L’obiettivo è quindi promuovere e raggiungere la consapevolezza ultima.

Nonostante siano passati 2.500 anni, se osserviamo noi e la società di oggi, ci possiamo accorgere che siamo ancora lontani dalla meta. La nostra mente con le nostre illusioni mondane a volte ci fa da padrona e ci porta in via impervie (ansia, paura, depressione…) Vediamo insieme come queste pratiche ci possono aiutare.

Yama

Yama, la non violenza

Yama è il primo limbo dello yoga del Patanjeli Linee guida che ci aiutano a vivere in armonia con il mondo che ci circonda. 1. Ahimsa (non violenza), 2. Satya (veridicità), 3. Asteya (non rubare), 4. Brahmacharya (giusto uso dell’energia) 5. Aparigraha (non avidità o non accumulo). Ogni Yama ha una profonda riflessione e va interpretato con attenzione per vivere una vita più armoniosa e significativa. Questi insegnamenti ci conducono verso un rapporto più equilibrato con la nostra persona e con il contesto in cui ci troviamo. L’obiettivo di questi principi è vivere in armonia con noi stessi e con l’ambiente circostante, costruendo una vita basata sulla gentilezza, l’onestà e il rispetto. Lo yoga è una pratica che trasforma e apporta benefici a ogni aspetto della vita, non solo ai 60 minuti trascorsi su un tappetino di gomma; se possiamo imparare a essere gentili, sinceri e a usare la nostra energia in modo utile, non solo trarremo beneficio dalla nostra pratica, ma tutto e tutti coloro che ci circondano.

Niyama

Niyama, gentilezza e ricerca dentro noi stessi

Niyama è il secondo limbo yoga del Patanjeli . Si tratta di cinque regole etiche volte a migliorare il rapporto con il nostro mondo interiore. Ciò che differenzia Yama e Niyama è proprio questo: i primi sono visti come delle regole restrittive nei confronti del contesto esterno, mentre i secondi sono degli atteggiamenti positivi raccomandati per un rapporto sano con la propria persona e per migliorare la pratica. 1. saucha (pulizia), 2. santosha (contentezza), 3. tapas (disciplina o desiderio ardente) 4. svadhyaya (studio individuale o autoriflessione e studio di testi spirituali) 5. isvarapranidaha (arrendersi a un potere superiore). I Niyama sono tradizionalmente praticati da coloro che desiderano viaggiare ulteriormente lungo il percorso yogico e hanno lo scopo di costruire il carattere. È interessante notare che i Niyama sono strettamente legati ai Kosha, le nostre “guaine” o “strati” che conducono dal corpo fisico all’essenza interiore. Come noterai, quando lavoriamo con i Niyama – da saucha a isvararpranidhana – siamo guidati dagli aspetti più grossolani di noi stessi alla verità interiore. Yama e Niyama compongono, insieme, la base filosofica dello yoga.

Asana

Posizione Yoga e allungamento Psoas

Asana è il terzo limbo dello yoga del Patanjeli ed è composto dagli Asana, le posizioni fisiche, ciò che a volte viene erroneamente confuso con lo yoga vero e proprio. Quando ci sediamo sul nostro tappetino per praticare la parte degli Asana, che comprende anche altre pratiche fisiche come i kriya, i mudra e i bandha, dobbiamo essere consapevoli che queste pratiche, originariamente, erano insegnate solo quando l’allievo aveva già raggiunto un certo stile di vita e aveva sviluppato un certo livello di preparazione interiore. Gli Asana, ripetuti più volte quotidianamente, avevano il potere di cambiare il sistema endocrino, nervoso e immunitario di una persona, influenzando anche il funzionamento dei sistemi psichici e le emozioni. Le posizioni non erano rivelate nella loro essenza totale a tutti, ma solo a coloro che avevano sviluppato una certa preparazione primaria.

Pranayama

Tecniche di Respirazione controllata

Il Pranayama compone il quarto limbo dello yoga Patanjeli, ciò che viene dopo la preparazione corporea. Con gli Asana il torace è pronto ad aprirsi e a respirare correttamente. Il Pranayama è uno strumento potente che ci permette di portare sotto controllo il Prana, l’energia vitale. Il suo scopo finale è fermare l’attività energetica nel corpo e calmare la mente. Anche in questo caso esistono delle tecniche che vanno adattate alla costituzione di ciascun individuo. Per persone molto energiche sono indicate pratiche calmanti, per chi è più tranquillo e “lento”, invece, pratiche più stimolanti. Le variazioni riguardano il tipo di Pranayama, il numero dei cicli, gli orari e così via. Gli yogi dell’antichità si ritiravano a vivere in caverne o in luoghi isolati per ridurre al minimo l’attività fisica e concentrarsi maggiormente sull’attività della mente e dello spirito. Questo è il senso del Pranayama: non ha quindi lo scopo di aumentare l’energia, bensì di fermarla, permettendo così alla persona di intraprendere un lavoro molto più profondo sul piano mentale e spirituale La parola Prana si riferisce a “energia” o “fonte di vita”. Spesso descrive l’essenza stessa che ci mantiene in vita, così come l’energia nell’universo che ci circonda. Il prana spesso descrive anche il respiro e, lavorando sul modo in cui respiriamo, influenziamo la mente in un modo molto reale.

Pratyhara

focus ed energia

Pratyahara è il quinto limbo dello Yoga Patanjeli e significa letteralmente “il ritiro dei sensi”. È una pratica che consiste nel liberare la mente, calmarla e creare spazio per porre il focus solo sulla nostra interiorità. Il Pratyahara è uno stadio necessario per poter passare al sesto ramo dello Yoga, Dharana. Ritiro dei sensi: Pratya significa “ritirarsi”, “attirare dentro” o “ritirare indietro”, e la seconda parte ahara si riferisce a tutto ciò che “prendiamo” da soli, come le varie viste, suoni e odori che i nostri sensi percepiscono continuamente. Quando ci sediamo per una pratica di meditazione formale, è probabile che questa sia la prima cosa che facciamo quando pensiamo che stiamo meditando; ci concentriamo sul “attirare dentro”. La pratica di ritirarsi verso l’interno può includere la concentrazione sul modo in cui respiriamo, quindi anche questo aspetto sarebbe direttamente correlato alla pratica del pranayama. La frase “ritiro dei sensi” evoca l’immagine della capacità di “spegnere” i nostri sensi attraverso la concentrazione, motivo per cui questo aspetto della pratica viene spesso frainteso. Invece di perdere effettivamente la capacità di udire e annusare, di vedere e sentire, la pratica di pratyahara cambia il nostro stato d’animo in modo che diventiamo così assorbiti in ciò su cui ci stiamo concentrando, che le cose al di fuori di noi non ci disturbano più e siamo in grado di meditare senza distrarci facilmente. I praticanti esperti possono essere in grado di tradurre pratyahara nella vita di tutti i giorni, essendo così concentrati e presenti nel momento a portata di mano, che cose come sensazioni e suoni non distraggono facilmente la mente.

Dharana

Aumentare la concentrazione

Dharana è il sesto limbo dello Yoga del Patanjeli. Una volta calmata la mente si può passare al quinto ramo, Dharana, la concentrazione. Dharana significa “concentrazione focalizzata”. Dha significa “tenere o mantenere” e Ana significa “altro” o “qualcos’altro”. Dharana significa focalizzare la mente su un oggetto, che può essere, ad esempio, il respiro, escludendo tutto il resto. È paragonabile ad un concentrato di energia che ci rende più efficienti anche sul piano mentale. Qui entra in gioco l’importanza di avere basi etiche solide, comportandosi in modo da mantenere la coscienza a posto e indirizzare la mente nei posti giusti. E con “posti giusti” si intendono i livelli più profondi della mente stessa, quelli in cui possiamo cominciare ad interagire con la nostra sfera spirituale. Strettamente legato ai due arti precedenti; dharana e pratyahara sono parti essenziali dello stesso aspetto. Per concentrarci su qualcosa, dobbiamo ritirare i nostri sensi in modo che tutta l’attenzione sia su quel punto di concentrazione. Per attirare i nostri sensi, dobbiamo focalizzarci e concentrarci intensamente.

Dyana

Contemplazione di noi stessi e del mondo

Dhyana è il settimo limbo dello yoga del Patanjeli. Quando la mente è concentrata e potenziata in maniera efficace possiamo praticare Dhyana, la meditazione, che è la contemplazione della nostra natura spirituale. Il termine Dhyana, che in Cina è diventato Chan e in Giappone Zen, si riferisce a una contemplazione profonda e concentrata, che esclude tutto il resto. In questa fase la mente viene indirizzata verso la profondità dell’essenza. Tutte le cose che possiamo imparare durante la lezione sono semplicemente tecniche per aiutarci a stabilizzarci, focalizzarci e concentrarci. La pratica effettiva della meditazione non è sicuramente qualcosa che possiamo “fare” attivamente, piuttosto descrive l’azione spontanea di qualcosa che accade come risultato di tutto il resto. Essenzialmente; se stai davvero meditando, non avrai il pensiero “oh, sto meditando!”

Samadhi

Vivere nella gioia e nella beatitudine

Samadhi è l’ottavo limbo dello yoga del Patanjeli. A questo punto, quando la mente è realmente ed efficacemente coinvolta in Dhyana, ciò che arriva è la pratica del Samadhi, l’ultimo degli otto rami dello yoga. È una profonda esperienza di unità e connessione con il divino, l’illuminazione, la beatitudine. Dopo aver riorganizzato le nostre relazioni con il mondo esterno e il nostro mondo interiore, arriviamo al finale della beatitudine. Un mito da sfatare è che il Samadhi sia una meta raggiungibile solo quando tutto è perfettamente allineato. In realtà si tratta di una conseguenza a una pratica costante e quotidiana, ed esistono sette livelli di quest’esperienza. “Sama” significa “uguale” o “uguale” e “Dhi” significa “vedere”. C’è una ragione per cui si chiama realizzazione. È perché raggiungere il Samadhi non significa evadere, fluttuare via o essere abbondantemente gioiosi; si tratta di realizzare la vita stessa che ci sta di fronte. La capacità di “vedere allo stesso modo” e senza disturbi mentali, senza che la nostra esperienza sia condizionata da simpatie, antipatie o abitudini, senza bisogno di giudicare o affezionarsi a qualche aspetto particolare; quella è felicità. Vedere la vita così com’è La mente si espande quando rallenta, si ferma e si focalizza su ciò che è giusto, permettendo alla coscienza di ampliarsi. E quando questo accade, facciamo esperienza di stati mentali e stati di coscienza molto gradevoli e piacevoli. Un esempio potrebbe essere trovarsi davanti a un bellissimo tramonto, con un corpo calmo e rilassato, una mente vuota e serena, portando l’attenzione sulla bellezza della natura intorno a noi. In quel momento ci sentiamo connessi col tutto e percepiamo la presenza del divino. Questo è il primo livello del Samadhi, in cui sperimentiamo la presenza di ciò che significa per noi il divino, come amore, natura, armonia. C’è solo un dettaglio: il Samadhi non è uno stato permanente…. Gli Yoga Sutra di Patanjali ci dicono in modo importante che a meno che non siamo completamente pronti, senza “impressioni” come attaccamento, avversione, desideri e abitudini, e con una mente completamente pura, non saremo in grado di mantenere a lungo lo stato di Samadhi: una volta che la mente è pura e sperimentiamo veramente uno stato di Samadhi che possiamo mantenere, otteniamo moksha, noto anche come mukti, che significa uno stato permanente di liberazione, liberazione e libertà.

Pratica

Dobbiamo ricordarci che oggi viviamo nel mondo. Se 2500 anni fa il mondo era più rallentato, gli yoghini vivevano nei monasteri o in isolamento sui monti, oggi molti di noi sono nel mondo.

E nel mondo di oggi tutto è più veloce e amplificato.

Tornare a stare ed assorbire tutti gli 8 sutra del Patanjeli è una pratica più impegnativa che richiede un allenamento costante.

E’ più semplici allenarsi da soli e in isolamento, ma la vita è condivisione, stare e crescere insieme agli altri.

L’altro e le situazioni di disagio ci allenano e ci aiutano ad incarnare tutta questa bellezza e a raggiungere la beatitudine.

Se vuoi praticare yoga insieme a me contattami e visita la pagina dei miei corsi. “https://www.olis.bio/corsi-di-yoga/”

Buona pratica.